
Il nero è assoluto. È culla dell’origine e regno delle tenebre, orizzonte della vita e della morte. Il massimo delle possibilità e il nulla, dove inizio e fine coincidono. In questa coincidenza tutto accade. Lorenzo Puglisi è affascinato dal nero. Nel colore impenetrabile che nega visione e forma sono concepite tutte le sue opere. Perché il nero si faccia grembo, fremito di luce, aurora di un nuovo inizio. Inizio che trova le sue radici nell’arte dei grandi maestri, da Leonardo a Caravaggio passando per Bacon.
Nella sua ricerca Puglisi accoglie la storia dell’arte non attraverso la perfezione della compiutezza formale, ma offrendoci un’immagine aperta, libera di giocare nelle polarità del bianco e del nero, trasparente purezza e oscura opacità, in un dinamismo che non conosce fine. Dove il nero non è solo orizzonte, tanto meno cornice o spazio da riempire: è sostanza stessa dell’opera. Dalle tenebre emerge la presenza, una presenza che da quel nero è sostenuta e in quel nero prende vita: bagliori di luce, scaglie di pittura densa e fremente, come in perpetuo movimento. I miti delle antiche civiltà, il racconto biblico della Genesi, le moderne scoperte scientifiche concordano nel vedere l’origine avvolta nelle tenebre, come il grembo della partoriente custodisce la vita. Il nero invoca la luce.

Puglisi quando crea un’opera ci offre sempre una duplice visione: l’opera in sé e il capolavoro a cui rimanda. La sua arte è relazione. E questo gioco di presenza e assenza è il vero soggetto, in qualche modo inafferrabile, dei suoi lavori. Il suo dipingere essenziale, ridotto a volti e mani, si risolve in tensione vitale di visione e memoria. L’oblio dell’oscurità, il muro invalicabile, e lo svelamento della luce. Un evocare e insieme un custodire che coinvolgono lo sguardo dell’artista e di colui che contempla.